Ex Ilva di Taranto, ok al decreto: boccata d’ossigeno con 680 milioni di euro. E ora via alla decarbonizzazione

Una telenovela senza fine quella dell’ex Ilva con vari colpi di scena e, sullo sfondo, i numerosi morti per tumore con un rapporto di causa-effetto in molti casi accertato dalla magistratura. Ora si apre un nuovo capitolo col via libera in Senato (78 voti favorevoli, 57 contrari e 4 astenuti) al primo decreto salva Ilva varato dal Governo Meloni. Un provvedimento che ora deve passare alla Camera per il via definitivo e che dovrebbe essere convertito entro il 6 marzo, pena decadenza. Una misura che consente di trasferire 680 milioni ad Acciaierie d’Italia (la società formata da Arcelor-Mittal e Invitalia che gestisce in fitto il complesso aziendale ex Ilva). Un prestito ponte per rafforzare il patrimonio dell’azienda con una produzione ormai scesa a 3 milioni di tonnellate di acciaio, prodotte nel 2022: un minimo storico che si abbina a un forte indebitamento cresciuto a livelli di allarme, determinato anche a causa della crisi energetica.

Insomma, una indubbia boccata di ossigeno, peraltro attesa, ma che non risolve i problemi dell’azienda, anche a causa di una situazione debitoria accumulata sino ad ora che pesa come una macigno. Con i milioni previsti, infatti, si riuscirà a mala pena a pagare i numerosi debiti che l’azienda ha accumulato con l’indotto. Un’azienda che viaggia da sempre su due binari paralleli che probabilmente non s’incontreranno mai: da un lato la stringente necessità di evitare nuovi casi di cancro, visto che l’Azienda ha già pagato un alto tributo di vittime; dall’altro l’altrettanto legittima volontà di mantenere i livelli occupazionali, già ampiamente compromessi a causa di numerose casse integrazione che Ancelor-Mittal (che detiene il pacchetto di maggioranza) ha già decretato.

Il contenuto del decreto

Dieci gli articoli previsti dal decreto. Uno prevede il ripristino dello scudo penale, eliminato nel 2019 che, come si legge nel decreto, “dovrebbe impedire, da parte dell’autorità giudiziaria, sanzioni interdittive che possano pregiudicare la continuità del’attività svolta negli stabilimenti considerati di interesse nazionale”. Uno scudo penale che tuttavia scatterà soltanto se saranno eliminate “le carenze organizzative che hanno determinato il reato”. Ad ogni buon conto il provvedimento si prefigge lo scopo di garantire la sopravvivenza del colosso industriale, che ai numerosi problemi di carattere gestionale e organizzativo abbina l’esigenza di tutelare la salute pubblica, uno dei nodi principali che l’azienda ha dovuto e deve tuttora affrontare. La parola d’ordine rimane la decarbonizzazione, un tema riproposto nel corso del dibattito che si è aperto alla Camera. Uno dei primi a parlare di decarbonizzazione – un processo che tuttavia prevede tempi lunghi – è stato il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano.

Ma ora non c’è più tempo da perdere. “L’impianto si deve fare a Taranto – ha detto tra l’altro Emiliano – e faremo di tutto per fare presto e bene, semplificando ogni snodo burocratico per arrivare alla decarbonizzazione dell’ex Ilva”.

I guai con la gestione dei Riva

Come è noto i guai dell’ex Ilva sono iniziati sotto la gestione dei Riva, una gestione definita disastrosa perché non è stato mai speso un solo euro per risanare l’azienda, a causa delle emissioni venefiche e della nube tossica che per anni ha martellato soprattutto il quartiere Tamburi, in cui ricade l’acciaieria, una delle più grandi d’Europa. Il nemico principale, in tutti questi anni, è stato l’amianto, responsabile di tante vittime, come accertato dalla magistratura. Una lunga storia con precise responsabilità culminata nell’inchiesta giudiziaria “Ambiente svenduto” che ha coinvolto anche l’allora Governatore della Regione Puglia, Nicky Vendola.

C’è insomma la necessità di voltare pagina. L’acciaieria di Taranto ha garantito posti di lavoro (attualmente 10mila i dipendenti compreso l’indotto), ma ha anche provocato molti danni e morti. Quasi tutte le famiglie che abitano al quartiere Tamburi hanno lamentato e lamentano la fuliggine sui davanzali delle loro finestre. Il segno che l’azienda inquina e continua a inquinare.

Related posts