Come spiegare la guerra ai bambini: il parere dello psicoterapeuta Michele Vargiu

Come spiegare la guerra ai più piccoli? I bambini e gli adolescenti hanno gli strumenti per comprendere ciò che sta accadendo? Sono mesi ormai in cui tutti siamo esposti alle immagini mediatiche e atroci della guerra e i genitori si interrogano sul modo migliore per spiegare ai propri figli quello che sta accadendo in Ucraina. Per non parlare dei bambini e degli adolescenti che questa guerra la stanno vivendo e il bombardamento non è solo un evento mediatico ma è la realtà.

Ne parliamo con Michele Vargiu, psicoterapeuta e presidente della FeNaCoPsi che si sta adoperando a livello nazionale per garantire un supporto psicologico a chi sta scappando dalla guerra e alle famiglie che hanno deciso di accogliere bambini e donne ucraine.

Quale impatto può avere la guerra sulla psiche dei bambini e degli adolescenti?

Chi vive l’esperienza della guerra dal vivo porta con sé l’esperienza detonante e trasformante di un terrore senza nome. I bombardamenti, i morti, la perdita dei propri legami famigliari, scappare dalla propria amata terra, sono aspetti che non possono essere elaborati e impattano nella psiche organizzando da quel momento l’intera personalità del soggetto. Le difese psichiche si organizzano in funzione del trauma e il mondo interno diventa identificato con il mondo esterno, popolandosi nei sogni di mostri, di altri bombardamenti e di un’esperienza costante e continuativa di angoscia. Da quel momento l’ambiente è diventato pericoloso e come estrema difesa il meccanismo della scissione ( per esempio bambini che giocano in mezzo alle macerie) permette uno scollamento temporaneo dalla realtà diventata oramai intollerabile. La scissione in casi così estremi, diventa protettiva per la psiche. Da un punto di vista psichico l’impatto della guerra avrà effetti a lungo termine, così come si è visto nel dopo olocausto, non solo in chi l’ha vissuta, ma anche nelle successive generazioni.

Come spiegare la guerra ai nostri bambini e adolescenti?

Il linguaggio filmico è sicuramente un buon modo per spiegare un fatto atroce e spaventoso come la guerra. Viene in mente il film per ragazzi, La storia infinita, in cui Atreju, alterEgo di Bastian, viene ingaggiato a combattere contro il nulla che sta velocemente annientando il pianeta di Fantasia. Se l’esperienza della guerra vissuta direttamente è un terrore senza nome, per i nostri bambini e adolescenti, la guerra vista e raccontata in tv assume le forme del nulla raccontato come nel film. Qualcosa di angoscioso che potrebbe arrivare da lontano e che apre alla possibilità di poter incontrare il lupo nero del film, se la guerra dovesse arrivare anche da noi. Tuttavia la guerra vista in tv, non porta in sé lo stesso potenziale traumatico di chi la vive, ma è necessario che venga spiegata soprattutto ai bambini. E’ importante rispondere alle domande dei bambini con parole capaci di mitigare l’angoscia ma mantenendo ferma la dimensione della verità. Far fare un disegno o guardare un cartone che parla di queste tematiche è altrettanto importante. Rispetto a questo è interessante la proposta di Rai Gulp che il 2 marzo ha proiettato il cortometraggio Mila, capace attraverso il linguaggio filmico di raccontare la guerra a partire dalle parole della piccola protagonista. Il cortometraggio può essere visionato su Rai Play gratuitamente.

Quale accoglienza per i profughi scappati dai luoghi del terrore?

L’accoglienza è un punto essenziale della cura del trauma. Soprattutto per i minori è da considerare l’importanza di un aiuto psicologico in emergenza, capace di ristrutturare o almeno ridimensionare in parte il trauma detonante della guerra. Sarebbe necessario molto più spazio per raccontare e spiegare l’importanza di un’accoglienza utile a chi scappa dalla guerra. Vorrei almeno evidenziare l’importanza di un’accoglienza rispettosa, poco chiassosa, e capace di far vivere un ambiente sicuro e tranquillo. Sarebbero da evitare le accoglienze costruite come una festa, con striscioni o cartelloni. Per chi arriva essere accolti non è una festa, è una tragedia che tuttavia prende le forme di una salvezza. Da considerare inoltre che i minori, sono arrivati per lo più con le mamme, nuclei famigliari che non vogliono rimanere in Italia ma ritornare nella loro terra. L’integrazione andrà pensata anche rispetto a questo progetto futuro, rispettando antropologia di provenienza, e dolore del profugo.

Cosa si sta facendo per aiutare chi scappa dalla guerra? Che tipo di supporto oltre quello logistico si sta garantendo in Italia?

La FeNaCoPsi (Federazione Nazionale Per Le Comunità ad orientamento Psicoanalitico), della quale sono presidente, si occupa a livello nazionale di offrire gratuitamente formazione, supervisione, psicoterapia alle comunità famigliari, afferenti al suo circuito, che ospitano temporaneamente dei minori. Nello specifico della guerra ha aperto due gruppi online gratuiti e nazionali. Uno formato da adolescenti ed educatori provenienti da diverse comunità in cui si è da ampio spazio alla discussione della tematica della guerra. Un altro gruppo in collaborazione con alcune associazioni e Ong, si sta occupando di offrire formazione e supervisione ad operatori e mediatori che si trovano a contatto con il dolore dei profughi ucraini da aiutare. 

                                                                                                                                              Angela Ferrari

Michele Vargiu, psicologo, psicoterapeuta, gruppoanalista e presidente FeNaCoPsi.

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