Cosimo Mazzini autore del thriller psicologico “Il filo teso”, l’intervista

Cosimo Mazzini è nato a Firenze nel 1975. Il suo primo approccio con la scrittura avviene
in adolescenza, con un racconto giallo che rimane nel cassetto. Nel 2015 pubblica il suo
primo romanzo: “Il diario delle opere buone”, edito da Edizioni Creativa, che conquista una
menzione speciale della giuria alla terza edizione del concorso “Premio Nazionale
Letteratura Italiana” indetto da Laura Capone Editore. Nel 2021 pubblica per Bookabook il
suo secondo romanzo, “Il filo teso”.

Chi è Cosimo Mazzini si presenti al pubblico.

Sono un accanito sostenitore dell’arte come generatrice di bellezza. Oltre alla scrittura mi dedico all’improvvisazione teatrale che ha molte cose in comune con la scrittura. Creare storie, sulla carta o sopra un palco, racchiude la magia di dare spazio a ciò che di più vero e intimo ci abita che spesso non
conosciamo o evitiamo di guardare. Amo stare nella natura, passeggiare. Leggere seduto su un prato è uno dei momenti più belli da dedicarmi. Ho scoperto col tempo di essere più “solitario” di quanto avessi mai pensato e forse è grazie a questo che ho imparato ad ascoltarmi e conoscermi. Mi piace la musica ma mi capita di ascoltarla prevalentemente in auto e mi accorgo, per una sorta di deformazione professionale, di essere più colpito dai testi che dalle melodie. Mi capita spesso di parlare con le persone e puntualmente rimango affascinato dai loro racconti di vita che, a volte, sembrano romanzi scritti a tavolino. All’inizio mi meravigliavo, poi sono giunto alla conclusione che la realtà non sia altro che la manifestazione delle nostre fantasie; forse dovremmo impegnarci per rendere le nostre fantasie le più alte e positive possibili. Questo mi sembra un ottimo spunto per una grande storia.

Quando ha iniziato a scrivere libri?

Il primo timido tentativo risale al periodo del liceo ma sento di poter dire che il vero inizio risale a circa quindici anni fa. All’epoca, nel viaggio di ritorno a casa dal lavoro, passavo vicino ad un luogo che, ogni giorno, mi chiamava, come se volesse affidarmi il racconto di una storia. E così scrissi il mio primo romanzo e da allora ho capito che la scrittura mi scorreva sottopelle da tempo e non desiderava altro che
essere liberata.

Come è arrivato a scrivere un thriller psicologico?

Non è stato un intento preciso, almeno inizialmente. A mano a mano che la storia si sviluppava, mi incuriosiva sempre di più approfondire i meccanismi psicologici dei personaggi; cosa li spingeva a fare quelle scelte, quale nebbia li avesse avvolti tanto da impedire ad alcuni di loro di vedere con chiarezza la verità. Alla fine mi è risultato evidente che la “deriva” mentale fosse uno degli aspetti più “thrilling” di tutto il libro. Di cosa parla “Il filo teso”? È la storia di una famiglia che si trasferisce a vivere in campagna. Sono uniti, la classica bella famiglia. Lentamente la nuova casa rilascia tracce del suo passato, fotografie e disegni, mobili antichi accatastati nella rimessa, vecchie incisioni sui mattoni della dispensa. Tutto questo attrae Paolo, il protagonista, in una spirale di paure e paranoie. L’angoscia di Paolo, unita al comportamento di Giorgio, suo vicino di casa, opera come un apriscatole che scoperchia passati irrisolti, ferite non guarite e fatti di sangue che non possono più essere tenuti nascosti. È un viaggio in mezzo a tutte quelle possibilità non realizzate in nome di un “filo teso” da seguire come un destino immutabile.

Quali sono i protagonisti principali?

Paolo e Giorgio, senza dubbio. Due personaggi diversi eppure molto vicini. Paolo appare da subito fragile, vittima di un passato difficile e il suo desiderio di “tranquilla serenità” si dimostra un debole tentativo di far finta di niente. Giorgio è un personaggio rude, a volte scorbutico, che ha barattato la dolcezza con una corazza che lo tiene immune dalla tragedia di cui è stato testimone. Giorgio comprende
subito che la fragilità di Paolo può rivelarsi un’arma pericolosa in quel luogo. Nasce così tra di loro un rapporto fatto di conflitti ma anche di slanci; un desiderio non detto di darsi una mano per uscire dalle sabbie mobili senza accorgersi di stare affondando a vicenda.

Ci sarà un proseguo di questo giallo?

Non si può mai dire ma al momento non è mia intenzione. Non amo molto i “seguiti”, a meno che non si tratti di una saga. Mi piace che siano i lettori ad immaginare cosa accadrà ai protagonisti del romanzo dopo aver girato l’ultima pagina. È come se, in questo modo, regalassi alla mia storia un’infinita gamma di “un anno dopo…”

Cosa pensa dell’editoria italiana?

Penso che, nelle grandi realtà, abbia perso un po’ il coraggio di investire sulle idee, di fidarsi dell’intuito. A volte è diventata troppo business e poca qualità. Dall’altro lato esiste un’editoria medio-piccola, indipendente, vivace e frizzante nella quale si intuisce tantissima passione, competenza e “spirito di servizio”, se mi passate il termine, nei confronti di scrittori e lettori. Mi auguro che tutta l’editoria non
perda mai l’entusiasmo per una nuova storia che prende vita.

Lisa Di Giovanni

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