“Siamo l’unica regione italiana che non ha un percorso di inclusione scolastica del bambino diabetico. Non è un bel primato, anzi”. Parla Riccardo Trentin, 52 anni, “diabetico e insulinodipendente da una vita”, numero uno della Rete sarda diabete. Cioè il primo caso di federazione paritaria delle sigle che raccolgono i sardi con il diabete e ne curano gli interessi. In una terra dove il tasso di incidenza della malattia è quattro volte la media nazionale. “I numeri sono crudi”, spiega Trentin, “ogni anno in Sardegna abbiamo 130 diagnosi di diabete mellito di tipo 1 (DMT1) ma si stima che siano almeno 1500 i bambini nella fascia 0 – 14 anni colpiti dalla malattia. E del tutto evidente che si tratti di una patologia ad alto impatto sociale e ci stiamo muovendo proprio nella direzione di coinvolgere la società sarda rispetto alla patologia. Dalla scuola ai servizi sociali, dallo sport a Federfarma, l’organizzazione dei titolari di farmacia con la quale stiamo avviando una forte campagna informativa”.
Trentin, come nasce questa discriminazione dei bambini sardi?
“Nasce da prima di noi, l’abbiamo trovata nel nostro cammino. Ed è inaccettabile che nella scuola pubblica un bambino diabetico, cioè con una disabilità certificata, non abbia gli stessi diritti dei coetanei. E’ necessario che la Regione Sardegna attivi il tavolo tecnico regionale sulla scuola perché è quella la sede dove questi problemi devono trovare una soluzione”.
In concreto cosa significa questa discriminazione?
“Che non c’è assistenza per i bambini e prima di tutto dobbiamo formare il personale docente e non docente a conoscere la malattia, i suoi effetti e gli strumenti per gestirla su un paziente giovanissimo. Parliamo di bambini anche di quattro anni, che a quell’età non sono certo autonomi nella gestione della malattia e dei presidi come i microinfusori e sensori”.
Avete messo in piedi una rete di associazioni territoriali, tutte incentrate sul diabete. Qual è la prima richiesta?
“Rivendichiamo l’appropriatezza delle cure non solo dal punto di vista medico- terapeutico ma anche dell’empowerment del paziente, che deve essere posto in grado di maturare un processo di responsabilizzazione e di autoefficacia personale. Protagonista del sistema, il malato deve poter individuare, all’interno di un’alleanza terapeutica fondata su un patto fiduciario, il suo percorso di cura, condiviso e corrispondente ai suoi bisogni e libertà. Parliamo di farmaci innovativi, servizi e presidi diretti a curare e migliorare la qualità della vita dei pazienti diabetici devono poter essere accessibili a tutti, dovunque e nella stessa misura, secondo i principi di universalità, uguaglianza e di equità. Riteniamo che appropriatezza non equivalga necessariamente a “risparmio”, formula usata come pretesto per le politiche dei tagli sanitari. Alla base di un buon impiego delle risorse c’è sempre un’adeguata programmazione che combatta gli sprechi, intercettando i reali bisogni espressi dalla comunità dei pazienti. A tal fine diventa cruciale la connessione della rete con la comunità scientifica”.
Per saperne di più https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=100873