Gli imprenditori vicentini hanno dimenticato e, la storia resta il punto di partenza

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Anche agli osservatori meno attenti non sfugge che in Veneto è in atto un’azione di rimozione delle circostanze che hanno portato al crollo finanziario della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca addossando le responsabilità esclusivamente a Zonin, Consoli e ai mancati controlli della Banca d’Italia e della CONSOB.

Si dimentica che la crisi delle banche venete è dovuta anche al connubio Banca ed Industria. A dimostrazione di ciò nell’ultima assemblea degli industriali di Vicenza non si è fatto alcun cenno alle sventure bancarie che hanno colpito pesantemente tanti azionisti ed obbligazionisti delle due banche eppure lo slogan dell’assemblea è stato: “Sottosopra, il mondo alla prova dei nuovi equilibri”. Solo a margine della relazione del presidente Luciano Vescovi c’è stato un velato accenno specificato meglio con la telegrafica frase: “soluzione Intesa va bene, ma si poteva fare meglio “.  Non si deve dimenticare che un buon numero di industriali vicentini risultano indagati ma il mondo produttivo non risulta abbia preso posizione sulle proprie responsabilità.

Sui fidi agli industriali amici, generosamente concessi dai due istituti, si è scritto molto ed anche sui gruppi di agevolati ai quali furono ricomprate le azioni prima del crollo. Basta scorrere le 344 pagine dell’atto di citazione per l’azione di responsabilità nei confronti dei vecchi vertici della Banca Popolare di Vicenza. Fidi concessi senza istruttoria tecnica, senza garanzia a consiglieri in conflitto, con il consenso, la complicità e persino gli applausi degli organi statutari.

Il consiglio di amministrazione di Veneto Banca non diede seguito al grave risultato di una ispezione della Banca d’Italia e alle due lettere, del novembre 2013 e del marzo 2014, dell’Istituto di Vigilanza che sollecitava un radicale cambio dei vertici della banca; il Consiglio di Amministrazione nominò il Direttore Generale segretario del C.d.A. funzione che gli consentì di occultare il rapporto ispettivo della Banca d’Italia. Uso incontrollato dei poteri consentì ad amministratori di concedere a parenti molto stretti fidi di ammontare rilavante per investire in Borsa e di concedere ad imprenditori veneti amici facilitazioni bancarie fino ad importi di 100 milioni di euro di cui 90 milioni non garantiti.

A ben vedere, quindi, i crediti in sofferenza si sono formati in parte per la crisi ma anche, e a volte soprattutto, per la “superficialità” nel concedere consistenti finanziamenti, non garantiti, ad imprenditori veneti al fine di alleggerire situazioni personali e non aziendali o per avventure immobiliari finite male con aperture di credito concesse, ed utilizzate completamente, pur in assenza di concessioni edilizie. Tali operazioni, d’altra parte, nell’immediato consentivano buone redditività per gli istituti di credito e ciò soddisfaceva i Consigli di Amministrazione che constatavano una crescita di profitti e si autoreferenziavano presso la clientela e, soprattutto presso le varie associazioni di categoria che in qualche modo esprimevano loro rappresentanti nei Consiglio di Amministrazione. Si perdonava tutto al Presidente della Banca Popolare di Vicenza e all’Amministratore delegato di Veneto Banca e, ora, si fa finta gli industriali veneti fanno finta di non averli mai conosciuti.  La memoria, a volte e per convenienza, è molto corta.

 

 

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