Julian Assange: l’estradizione collaterale (di Michela Pisu)

«Se tagli la testa, la coda non si dimena più».

È possibile che i signori della politica statunitense siano dei fedeli lettori di Don DeLillo, perché la decapitazione sembrerebbe proprio quello che vorrebbero fare a Julian Assange. Così che la sua coda possa smettere per sempre di dimenarsi. Quello che non hanno compreso è che il padre di Wikileask potrà anche esser giustiziato per spionaggio (gli ultimi a subire la pena di morte negli Usa con questo capo d’accusa furono i coniugi Rosenberg, militanti comunisti, nel 1953) o tenuto prigioniero nelle carceri americane, ma lo spirito del giornalismo libero avrà molto più che una coda per muovere i valori della verità e dell’informazione senza censura.

A quanto pare però il mondo dei potenti è contro di lui e questo dovrebbe far riflettere sul fatto che la vittima sia Assange, non la famiglia Clinton. E c’è da chiedersi oggi cosa sia cambiato da quel 4 gennaio 2021 quando il giudice britannico, Vanessa Baraitser, comunicò al mondo di aver respinto la richiesta avanzata da Washinton di estradare l’editore australiano negli Stati Uniti, con motivazioni di carattere sanitario. Oggi non ci pare che Assange scoppi di salute eppure, è notizia di qualche giorno fa, la ministra dell’Interno inglese, Priti Patel, ha deciso per l’estradizione. Il via libera finale da parte della responsabile dell’Home Office, arriva dopo che nel Regno Unito si è completata la procedura giudiziaria sulla controversa vicenda dell’attivista australiano che rischia di scontare in un carcere americano 175 anni per aver contribuito a diffondere, tramite la piattaforma online Wikileaks, documenti riservati contenenti anche informazioni su crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan.

Nel 2009 Wikileaks pubblicava i rapporti sulla crisi finanziaria islandese, sullo scandalo petrolifero peruviano e sulle riunioni del gruppo Bilderberg. Lo stesso anno sono stati pubblicati i rapporti sull’incidente nucleare iraniano e sui traffici abusivi di rifiuti in Costa d’Avorio ad opera della multinazionale Trafigura Ag.

Ma sono i diari di guerra a creare i primi grossi problemi ad Assange.

A partire dal 2009 escono allo scoperto i diari di guerra iracheni: 400 mila file che ricoprono un lasso di tempo che va dal 2003 al 2009, in cui si fa luce su sei anni di orrori perpetrati dai governi di George Bush, Barak Obama in America e di Tony Blair in Gran Bretannia. Le immagini delle violenze, torture, sodomizzazioni e stupri nel carcere di Abu Grhaib (2003) faranno il giro del mondo, così come il video Collateral Murder (2007), in cui si vedono militari americani che dall’alto di due elicotteri Apache sparano a un gruppo di civili.  A seguire i diari di guerra afgani: 92 mila documenti esplosivi sulle campagne militari internazionali lanciate in Afganistan a partire dal 2001.  Ma è il 2010 l’anno più scottante: Wikileaks pubblica il Cablegate, ossia la diffusione delle decine di migliaia di dispacci confidenziali spediti al dipartimento di Stato da alti diplomatici americani presenti nelle varie ambasciate.

La bomba è grossa e la Casa Bianca rischia incidenti diplomatici di portata epocale: Assange diventa il nemico numero uno della nazione che fa della libertà di parola la sintesi della sua bandiera. Ecco che il castello di carta americano inizia a sgretolarsi, ma per il giornalista australiano inizia il calvario tra i lockdown nelle ambasciate, controlli surrettizi da parte della Cia, e una stampa che solo tiepidamente prende le sue difese.

L’America lo reclama, non resta che chiedersi se vuole giustizia o semplicemente vendetta.

Quello che è chiaro è che con la presa di posizione verso Julian Assange ad essere colpito non è solo l’uomo, semmai tutto il mondo giornalistico: con la sua carcerazione muore la libertà di parola. Del resto, la lista di proscrizione pubblicata dal Corriere della Sera dei giornalisti accusati di non essere allineati con la narrazione unica in merito alla guerra tra Russia e Ucraina, la dice lunga sulla libertà di stampa. E c’è chi sostiene che dietro la famigerata lista vi sia una regia straniera, che i veri artefici di questa operazione andrebbero cercati in ambienti Nato. A farlo pensare sono state le proscrizioni molto simili, apparse in altri paesi del patto atlantico, più meno negli stessi giorni. La rete televisiva americana NBC ha accusato infatti giornalisti, che da anni seguono il conflitto in Donbass, di essere «produttori di contenuti per il Cremlino». Eva K Bartlett, una delle giornaliste citate, ha raccontato in un suo video le operazioni messe in atto per delegittimare il suo lavoro, da parte di quelli che dovrebbero essere i suoi colleghi.

Per la libertà e la democrazia sono tempi davvero duri e l’America è lo Stato che più di altri mostra di aver basato i precetti liberali su fondamenta fatte di marzapane: non riesce a disarmare i cittadini, la Corte Suprema ha bocciato la legge che limita il diritto a girare armati «Dal momento che lo stato di New York concede autorizzazioni a portare le armi in pubblico solo a chi dimostra di aver una speciale esigenza di autodifesa, concludiamo che questo regime violi la Costituzione», si legge nella sentenza scritta da Clarence Thomas; eppure rende incostituzionale l’aborto. La Corte Suprema infatti abolisce la sentenza sul diritto ad abortire. I primi Stati a rendere operativa la sentenza sono il Texas e il Missouri.

Il grido allo scandalo è iniziato prima ancora che la sentenza fosse emessa. Lo slogan «l’utero è mio e lo gestisco io» è stato tradito, le battaglie per ottenere il diritto all’omicidio dei bambini mai nati, sono rese vane. Ma, per citare ancora Assange «L’obiettivo è la giustizia, il metodo è la trasparenza. È importante non confondere l’obiettivo con il metodo».

Come donna, se nel 1981 avessi avuto l’età per votare il famoso referendum in cui si chiedeva al popolo italiano di decidere sulla possibilità di interrompere le gravidanze indesiderate, avrei sicuramente votato per un Sì deciso.  Tuttavia, oggi la società è cambiata e se gli obiettivi possono essere ancora gli stessi, a cambiare sono i metodi per arrivare a quei traguardi.  In realtà, lo sono già. Siamo sicuri che oggi l’emancipazione femminile e il diritto sul proprio corpo si misuri con la pratica abortiva? La scienza, quella vera, permette oggi di prevenire anziché curare: la contraccezione non è più un tabù. Anzi, l’uso dei profilatici è utile anche per la prevenzione delle malattie veneree e per l’Aids, così come la pillola contraccettiva, ha anche valore curativo per numerose problematiche ormonali. La pillola del giorno dopo, con valore precauzionale, è una possibilità per quelle situazioni non previste. Anche la cosiddetta pillola dei 5 giorni, approvata di recente, è stata pensata per evitare una gravidanza entro le 120 ore da un rapporto sessuale non protetto. Non sono contraria all’aborto tout court, ci sono casi in cui l’interruzione della gravidanza deve essere operata perché non ci sono altri modi meno dolorosi, ma sono contraria all’uso arbitrario che negli anni è stato fatto di questa pratica.

Parafrasando Assange, l’obiettivo è la giustizia di essere liberi di vivere la propria sessualità in tranquillità, la trasparenza del metodo invece porta a chiederci: a cosa servono oggi gli aborti? Non sarà forse che, fermando le pratiche abortive, si vuole in realtà fermare il mercato dei feti?

«Negli Stati Uniti c’è una moda si chiama kinky, significa concepire un figlio per abortire» scrive Margherita Furlan, giornalista di Pandora Tv e della Casa del sole, in un articolo pubblicato nel 2019. «All’Associated Press un giovane uomo ha serenamente raccontato la sua esperienza di vita: La mia ragazza ama essere messa incinta e le piace l’aborto. Non ha mestruazioni ed è sessualmente molto attiva. Negli ultimi dieci anni abbiamo abortito sette volte». I feti, generati per fini commerciali – spiega la Furlan – vengono utilizzati come pezzi di ricambio e fatti nascere alla ventesima settimana di gravidanza. Successivamente da essi saranno prelevati gli organi già formati, in particolare il fegato. I consultori famigliari americani, come il Planned Parenthood Institute aiutano le donne a interrompere la gravidanza. Subito dopo, a porte semichiuse, inizia un percorso molto redditizio. Il feto abortito viene sezionato in diverse parti, tra cui fegato, rene, timo, pelle, per essere vendute. Un fegato può costare fino a 350 dollari. In un video girato undercover all’interno del Planned Parenthood dall’organizzazione pro life Center for Medical Progress, appare anche il listino prezzi dell’impresa Da Vinci Biosciences, una ditta d’intermediazione di tessuti fetali: 750 dollari per il cervello di un bambino, 500 per le ghiandole linfatiche, 350 per un rene. Il mercato è proficuo e il Dr. Jörg C. Gerlach, chirurgo sperimentale dell’Università di Pittsburgh, ha sviluppato una tecnica apposita per prelevare, da feti partoriti vivi a seguito di aborto tardivo, fegati incontaminati. Il cosiddetto protocollo di Gerlach per la raccolta del fegato è utilizzato per i trapianti sperimentali di cellule staminali secondo le Current Good Manufacturing Practice, o cGMP, linee guida sviluppate dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA), un altro ramo della HHS (Dipartimento della Salute e dei servizi umani degli Stati Uniti). Secondo le pubblicazioni mediche generalmente le procedure di vivisezione si svolgono nell’Università di Pittsburgh e sono finanziate dal NIH (Istituto Nazionale Sanitario) con ben 2 milioni di dollari dal 2011».

«Il motivo – è scritto nell’articolo della giornalista di Pandora Tv – è che i vaccini nascono dal principio secondo cui il sistema immunitario ha memoria delle precedenti battaglie vinte contro virus e batteri. Pertanto, se si offrono al sistema immunitario dei virus o batteri morti, o indeboliti quel tanto che basta da renderli riconoscibili e tenerne così memoria, si prepara l’organismo ad affrontare la vera infezione che potrebbe scatenarsi in futuro. Ma occorre produrli in serie. Come? I batteri si riproducono spontaneamente per mitosi. Pertanto sono sufficienti delle colture per il loro inserimento nei vaccini. I virus invece non sono in grado di riprodursi autonomamente ma necessitano di un altro organismo vivente per impiantargli il proprio codice genetico e così perpetrare la propria specie. Per riprodurre il virus indebolito o tramortito che occorre per sviluppare l’effetto immunizzante servono dunque catene cellulari su cui il virus si vada a replicare. Per far questo, vengono usate cellule di feti umani abortiti che vengono poi riprodotte in laboratorio».

Insomma, un film dell’orrore. Non solo. Fa riflettere sulla grande ipocrisia che ruota attorno al concetto di libertà e di inviolabilità del corpo: gli stessi che fino all’altro giorno applaudivano o firmavano per l’obbligo vaccinale, incuranti dell’habeas corpus e dell’inviolabilità personale, andando contro l’art.32 della Costituzione, oggi accusano l’America di non essere democratica e di iniziare una politica liberticida «perché nessuno, neppure lo Stato, ha diritto di proprietà sul corpo dei cittadini».

«L’utero è mio e lo gestisco io». Se vale per l’utero dovrebbe valere per qualunque altra parte del proprio corpo. Peccato che «L’azione è verità, e la verità vacilla quando la guerra finisce e gli abitanti del villaggio sono liberi di tornare ai loro campi. Sopravviviamo, e siamo nuovamente sconfitti».  DeLillo sembra quasi profetico. La visione transumanista di Schwab che vede «gli esseri umani come macchine in curiose miscele di vita digitale e analogica, i cui corpi dovranno essere infettati con Smart Dust perché la polizia possa essere in grado di leggere i nostri cervelli» (Quarta rivoluzione industriale, nota anche come 4IR o Industria 4.0), analisi poi criticata dallo stesso Assange: «Polvere intelligente diabolica sparsa ovunque come confetti» non è più una distopia, ma una pericolosa realtà. L’umano rischia di essere sconfitto prima ancora di aver compreso che la guerra è iniziata da tempo.

E se tutto questo, solo un anno fa, era tacciato di complottismo ora è proprio il Ministro per l’Innovazione 3D e la Transizione Digitale, Vittorio Colao, ha dirci che il mondo sta cambiando. Ma non in meglio, aggiungerei.

«Stiamo elaborando una piattaforma per l’erogazione di tutti i benefici sociali, il nome è IDPay, dove avverrà tutto direttamente in digitale – ha spiegato Colao – presto ci sarà l’avvio della piattaforma dell’interoperabilità dove alcune grandi pubbliche amministrazioni come l’agenzia delle entrate, l’anagrafe, il ministero dell’interno e l’Inps agganceranno i propri dati. In questa piattaforma sarà presente anche il fascicolo sanitario di ogni cittadino, al fine di avere anche sul piano sanitario la possibilità di teleconsulto, telemonitoraggio e gestione da remoto».

Insomma, ci sentiremo tutti protagonisti della serie Tv Person of  Interest, controllati dalla macchina Samaritan, ma non ci sarà nessun James Caviezel a salvarci dall’eccesso di zelo dell’occhio indiscreto di chi controlla la macchina.  Forse coloro che oggi si sentono invasi dalla decisione della Corte Suprema americana che vincola i cittadini ad una maggiore consapevolezza del proprio corpo e della vita umana, dovrebbero iniziare ad interrogarsi se hanno mai avuto una reale libertà, non solo corporea ma soprattutto di pensiero. Le manifestazioni per la vita sono anche contro la vita e continueremo a dimenare la coda, finché non ci verrà tagliata anche la testa.

Michela Pisu

(Fonte: www.ansa.it; www.infodata.ilsole24ore.com; https://www.quotidianosociale.it/il-club-di-davos-apre-le-danze-tre-giorni-per-capire-come-non-fare-fallire-lagenda-che-vorrebbe-gli-umani-dei-semplici-stakeholder-michela-pisu/; Julian Assange. Niente è come sembra di Germana Leoni, Nexus edizioni, 20021; t.me/lantidiplomatico; https://www.youtube.com/watch?v=qpoVewOAmzM; www.ansa.it; www.antimafiaduemila.com;

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