Quasi vent’anni di dedizione indiscriminata verso i più bisognosi. Una passione che si è concretizzata per l’ennesima volta a marzo, quella di Aldo Spagnoli, quando assieme al figlio Augusto ha deciso di partire alla volta dell’Ucraina per portare il loro aiuto in un Paese devastato dal conflitto. Un viaggio intenso, che hanno affrontato grazie al sostegno della Rete Anas e di Wamba Onlus, di cui è stato fondatore nel 2004 e che ancora oggi presiede, organizzazione che ha radici a Milano e opera nel settore dell’assistenza sociosanitaria e della ricerca clinica in tutta Italia.
Per questo Wamba è stata premiata con la Stella al merito durante l’assemblea della Rete Anas Italia che si è tenuta a Torino il 2 luglio scorso.
La vostra è una storia nel sociale che inizia quasi vent’anni fa. Poi l’impegno per le vittime della guerra in Ucraina?
Verso gli inizi di marzo, un mercoledì. Arriva all’improvviso una chiamata di mio padre Aldo, che mi dice: “Prepariamo questo viaggio. Andiamo a fare il nostro”. Sapevamo soltanto che le avremmo potute far ospitare vicino a Nizza da un nostro conoscente. Abbiamo cercato di creare una rete di contatti che ci consentisse di organizzare il viaggio quanto prima: una volta sentiti Flavio Ronzi (presidente nazionale Anas 118 Sanità) e Claudio Cugusi (presidente nazionale Anas protezione civile), abbiamo ricevuto da loro un grande supporto logistico e organizzativo. In appena un giorno eravamo pronti a partire. Giovedì abbiamo ritirato quanto necessario e siamo partiti: dopo sole due fermate, una in Austria e una a Medyca, al confine polacco, ci siamo immersi nella realtà del conflitto.
Una realtà allucinante…
Si, c’è da dire che si viene subito catapultati in un ambiente in cui coesistono più realtà. Siamo stati colpiti innanzitutto dalla collaborazione ricevuta dalla Polonia, che nonostante sia storicamente in conflitto con l’Ucraina ha messo da parte le sue divergenze culturali e si è resa subito disponibile ad aiutare la popolazione. L’impatto con i civili è stato difficile da metabolizzare, la maggior parte di loro erano spaesati e incerti. Non sapevano come sarebbero arrivati alla dogana per lasciare il Paese, né in quale nazione sarebbero finiti poi. Altri, invece, si occupavano di portare i propri familiari al confine e tornavano indietro, in modo da portarne altri o rimanere a combattere. In ogni caso, con alcuni punti in comune: le lacrime agli occhi e una forza di volontà indescrivibile.
Chi sono, dove sono e cosa fanno oggi i primi che avete salvato?
Le prime tre persone che abbiamo portato fuori dal territorio di guerra si chiamano Anna, Elena e David.
Anna è una ragazza di venti anni appena, che studiava scienze della comunicazione in Ucraina: ora ha ripreso i suoi studi, a Nizza, cambiando però indirizzo. Ha scelto il design, la sua passione.
Elena si occupava prima del conflitto della creazione di bouquet artistici, creati con materiali alternativi al solito: è riuscita a portare questa sua professione anche a Nizza, continuando a dedicarsi a ciò che ama, e riuscendo a così a mantenere suo figlio David.
Quale visione le sembra che abbiano queste persone del conflitto? Pensano di restare nei luoghi che li ospitano o vogliono tornare in Ucraina alla fine della guerra?
La sensazione che trasmettono è negativa. Sono increduli, con una voglia matta di tornare a casa non appena sarà possibile per cercare di contribuire alla rinascita del Paese. In effetti il conforto che hanno trovato in un nuovo approdo non colma il dolore che provano nel sentirsi soli, nell’aver dovuto lasciare il proprio Paese e i loro cari: è una nuova vita, piena di opportunità grazie alla buona volontà di coloro che hanno offerto loro ospitalità, ma sempre piena di ostacoli.
Quali sono i vostri propositi per il futuro? Avete intenzione di ripetere le spedizioni?
Assolutamente si, appena possibile. Un’esperienza di questo tipo ti traumatizza, ti rimette con i piedi per terra e ti fa sentire delle vibrazioni mai sentite, in un arco di tempo che sembra al tempo stesso fulmineo e infinito. E per quella soddisfazione immensa che si prova nel dare aiuto a chi ne ha bisogno.
Gabriele Serra
(nella foto da sinistra Augusto Spagnoli e Flavio Ronzi)