Michele Zoppardo autore de “La mattanza di Castelnormanno”, l’intervista

Lo scrittore Michele Zoppardo è nato a Palermo; commissario della Polizia di Stato in pensione, da oltre quarant’anni vive in Toscana. Ha esordito nel 2018 con il romanzo “Elisa Maiorano”, primo libro della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie”, cui hanno fatto seguito i romanzi “Gelsomino rosso sangue” e “Chi uccide a Borghetto?”, tutti pubblicati dalla casa editrice Edizioni Tripla E. Si racconta in questa intensa intervista.

 

Da commissario della Polizia di Stato a scrittore, ci parli di lei si presenti al pubblico?

Nella Polizia di Stato ho prestato servizio per trentadue anni, girando un po’ l’Italia per fermarmi definitivamente a Pisa, concludendo la mia carriera al Commissariato di Pontedera. La passione per la scrittura era latente in me ma non ho potuto coltivarla, per motivi di tempo e di impegni, fino a che non sono andato in pensione. Il mio primo romanzo (cronologicamente “Gelsomino rosso sangue”, anche se per primo è stato pubblicato “Elisa Maiorano”) è nato da un’idea balenatami all’improvviso che mi ha tentato, sfidandomi a mettere alla prova la mia capacità di svilupparla e farne una storia finita. Da quel momento ho scoperto che, per me, scrivere è come vivere un’avventura. Non sono io che cerco la storia ma lei che viene da me; mi assale, mie entra nelle vene e m’invade la mente come una pianta infestante, assorbendo ogni pensiero e costringendomi a curarmi solo di lei. Così, divento i personaggi dei miei romanzi; vivo le loro vicende, le loro passioni, le loro paure, i loro dolori. Mi sono chiesto perché sento il bisogno di scrivere romanzi gialli anziché di un altro genere e ho trovato la risposta: per il desiderio di una realtà diversa da quella che è, di una realtà dove i colpevoli vangano scoperti e puniti adeguatamente e dove le vittime possano trovare giustizia; in definitiva, dove il bene possa avere la meglio sul male. 

Anche se oramai abita in Toscana da molti anni, cosa pensa della Sicilia, tornerebbe a viverci?

La Sicilia è una terra bellissima e martoriata, terra di conquista di molti che  l’hanno sfruttata, depredata e poi abbandonata, favorendo la nascita e il consolidarsi di uno stato parallelo, quello della criminalità organizzata, che dell’ignoranza in cui per secoli è stata lasciata la popolazione, della sfiducia verso lo Stato ufficiale quasi sempre assente, degli interessi illeciti di molti politici si è pasciuta, attecchendo, ramificandosi e crescendo a dismisura come una mala pianta. Ho nostalgia della mia terra ma non ci tornerei perché non molto è cambiato da quando l’ho lasciata e temo che, se pur qualcosa dovesse cambiare, cambierebbe “per non cambiare nulla”.

“La mattanza di Castelnormanno” è il suo ultimo noir, introduca al pubblico la sua opera?

I miei sono romanzi “gialli”, con trame che ritengo attendibili (spesso quanto accade nella realtà quotidiana appare meno verosimile), con numerosi personaggi dalla psicologia ben definita, con un esito investigativo basato su elementi di prova oggettivi. In questo contesto realistico, si viene poi a inserire una componente straordinaria, non certo preponderante ma sicuramente rilevante, rappresentata dalle facoltà extrasensoriali dell’investigatore privato Tony Valente. È chiaro che chi volesse trovare, in questa componente del romanzo, concretezza e credibilità ne rimarrebbe deluso perché i fenomeni extrasensoriali, per loro natura, trascendono l’ordinaria comprensione e non sono spiegabili logicamente né possono avere l’attendibilità degli eventi comuni. Nelle mie storie il realismo della vita comune e l’inverosimiglianza (ma inverosimile non vuol dire non vero) del fantastico sussistono contemporaneamente e si compenetrano. Lo scopo dei miei romanzi è quello di raccontare fatti di ordinaria delinquenza (le vicende narrate sono simili a quelle di cui sentiamo parlare quotidianamente nella cronaca nera) avvincendo il lettore e avviluppandolo in una ragnatela fatta di  fili tangibili (la maggior parte) e di altri così impalpabili da non capire se siano veri o virtuali, di modo che, di fronte a questi,  i “credenti” (cioè coloro che credono possibile la precognizione, la retrocognizione, la chiaroveggenza, la telepatia, etc. o che, più ancora, credono nei poteri dei maghi, dei cartomanti, dei guaritori e così via) affermeranno che essi sono senza dubbio reali come gli altri, anche se non lo sembrano, mentre gli scettici (cioè coloro che non credono nei fantasmi o negli extraterrestri o, più in generale, in tutto ciò che non si può vedere con gli occhi né toccare con le mani) giureranno che sono senz’altro falsi, frutto di fantasia e d’inganno e, infine, i dubbiosi diranno che, a prima vista,  sembrerebbero falsi ma, tutto sommato, potrebbero anche essere veri. Tali caratteristiche, unitamente all’uso del dialetto siciliano (alquanto italianizzato per renderlo comprensibile a tutti) e alla trattazione di argomenti sociali di tragica attualità (sia pure sullo sfondo), si ritrovano nel romanzo “La mattanza di Castelnormanno”, così come nei precedenti “Elisa Maiorano”, “Gelsomino rosso sangue”, “Chi uccide a Borghetto?”, tutti facenti parte della serie “Investigazioni ordinarie e straordinarie.

Chi è il commissario Gerolamo Sanfilippo?

Il commissario Sanfilippo è il protagonista delle “investigazioni ordinarie” dei miei romanzi e, quindi, anche de “La mattanza di Castelnormanno”. È l’antitesi del poliziotto fascinoso e super atletico che ritroviamo in tanti romanzi e film polizieschi. Sanfilippo, infatti, non è bello, è piccolo di statura, ha pochi capelli ed è fortemente miope. È, però, una persona onesta, perspicace, dotata di spiccato acume investigativo,  di capacità critiche che lo portano ad ammettere i suoi errori e a tornare sui propri passi, e di profonda umanità. 

Il suo romanzo parla di una spietata mattanza, a cosa si è ispirato per scrivere questa storia?

La mattanza del titolo fa riferimento al delitto scoperto, una mattina di Gennaio dell’anno 1976, da Rosaria, portiera di una palazzina sita in Castelnormanno, località di fantasia non lontana da Palermo. Le vittime, barbaramente uccise a coltellate e sgozzate sono una coppia di coniugi di mezza età e il noto titolare di abbigliamento maschile di lusso del capoluogo. Il commissario Sanfilippo, incaricato delle indagini, si troverà a fare i conti con una vicenda di amore e odio, che trasuda sangue e dolore, nella quale la compassione è da riservare a coloro che se ne sono andati e, forse ancor di più, a coloro che sono rimasti. Ovviamente i miei romanzi traggono ispirazione dalla realtà, anche se non da un fatto di cronaca specifico. In precedenza ho trattato temi quali il femminicidio come estrema conseguenza di un amore malato che porta a distruggere e ad autodistruggersi, il buonismo ipocrita della nostra società che sa compatire e perfino giustificare gli autori di odiosi atti criminali mentre non ha pietà per le loro vittime, la dipendenza dal gioco d’azzardo e la brama di successo dei giovani, entrambe potenzialmente causa di crimini, la condizione dei malati di mente dopo la chiusura dei manicomi, le tragiche conseguenze cui possono portare le liti condominiali. Anche per “La mattanza di Castelnormanno” mi sono ispirato a fatti di cronaca nera reali riguardanti il più esecrabile degli assassinii, ma non posso rivelare quali perché equivarrebbe a svelare la conclusione del mio romanzo.

Ha altri progetti editoriali in cantiere?

Ho ultimato il mio nuovo romanzo che s’intitola “I botti di Capodanno” e, naturalmente, mi auguro di riuscire a pubblicarlo.

 

 

Lisa Di Giovanni

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