Silenzio, parla Soros (di Michela Pisu)

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Caro amico ti scrivo e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò. L’anno vecchio è finito oramai, ma qualcosa ancora qui non va…

Poteva essere questo l’incipit della lettera che George Soros ha scritto a Mario Draghi, ma la poesia non deve essere una caratteristica dell’imprenditore ungherese naturalizzato statunitense. L’Ansa lo descrive come «un finanziere, filantropo campione della democrazia liberale e della società aperta». Mentre l’Huffingtonpost ricorda che il filantropo amico dell’altro filantropo Bill Gates, ha sul suo curriculum diversi capi di imputazione. In effetti, il Cremlino lo ha accusato di aver finanziato il golpe di Euromaidan, di aver finanziato gli estremisti di destra ucraini per destabilizzare il paese e di aver provocato la Russia affinché muovesse guerra.  Sempre su Soros si punta il dito per la creazione di alcuni biolaboratori impegnati nello sviluppo di armi chimiche e batteriologiche, nonché esperimenti biologici su pazienti psichiatrici nella città ucraina di Kharkiv, con la collaborazione ovviamente del governo ucraino, ma anche della Germania e della Polonia.

Una cosa è certa, il nome di George Soros è spesso collegato a strategici giochi geopolitici e finanziari, ma mai si era spinto tanto da prendere carta e penna e scrivere una lettera. Uomini come lui di solito non sembrano averne bisogno, danno l’idea di ottenere quello che vogliono quando lo vogliono. Allora cosa ha portato Soros a scrivere al Presidente del consiglio italiano?

Parrebbe che il Presidente della Soros Fund, dell’Open Society Foundations e fondatore e consigliere del Quantum Group abbia individuato in Draghi l’uomo giusto per realizzare il suo antico sogno di una Europa Federale. Lo ha dichiarato durante il Word Economic Forum a Davos (a tale proposito si legga l’articolo Il club di Davos apre le danze: tre giorni per capire come non fare fallire l’Agenda che vorrebbe gli umani dei semplici stakeholder, ndr), aggiungendo di aver scritto una lettera al premier italiano per chiarire alcuni punti.

«Gli ho scritto una lettera in cui dico che l’Europa, che detiene i gasdotti, ha in realtà una posizione di forza maggiore rispetto alla Russia e lui, in quanto leader europeo, ha l’iniziativa, l’immaginazione, l’alta reputazione necessarie per il braccio di ferro con Mosca e per far avanzare un progetto federalista in Europa».

«Non è l’unico leader – ha aggiunto – e in questo momento i politici europei sono in una fase creativa. Quello che serve è un passo avanti verso un’Europa parzialmente federata, sarebbe un vantaggio enorme. Putin sta chiaramente ricattando l’Europa minacciando di trattenere il gas, che ha messo a riserva piuttosto che alimentare le forniture all’Europa. I prezzi sono così saliti, facendo guadagnare la Russia, ma la posizione negoziale di Putin non è forte come sembra e come Putin finge che sia: si stima che per luglio i depositi russi saranno al massimo, e l’Europa è il solo mercato di sbocco russo, con rischio che la Russia debba chiudere in Siberia circa 12 mila punti d’estrazione difficili da riaprire perché vetusti. L’Europa ha dunque una carta da giocare ed è urgente che si prepari a usare il suo potere negoziale. Deve anticipare al massimo i preparativi per rendersi indipendente dalla Russia, prima della prossima stagione fredda, impedendo a Putin di chiudere i rubinetti finché tale mossa può fare ancora male».

La strada indicata dal finanziere è «imporre una pesante tassa sulle importazioni di gas, in modo che il prezzo al consumo non scenda, ma la Ue guadagni un gettito da usare per sostenere i poveri e investire in energia verde. In questo modo la Russia non recupererà mai le vendite che ha perso e l’Ue avrà dato un forte segnale di unità e assestato un colpo al dittatore di Mosca».

I contenuti della missiva sono chiari e perentori: la Russia è cattiva e noi siamo buoni. Tuttavia, fermarci a questo sarebbe come guardare il dito e non la luna: nella comunicazione spesso è necessario andare oltre i contenuti per osservare meglio le relazioni.

Le domande da porci dunque sono sostanzialmente due: perché Draghi? e perché Soros si apre così al mondo?

Certo, tra speculatori finanziari c’è sicuramene un’intesa maggiore rispetto a chi non ha dimestichezza con i numeri, ma perché non scrivere anche a Macron? Secondo alcune indiscrezioni la campagna elettorale del rieletto presidente francese è stata sovvenzionata proprio da Soros (2.365.910,16 €), da David Rothschild (976.126,87 €) e da Goldman-Sachs (2.145.100 €). Più che indiscrezioni a sostenerlo sono una serie di documenti, i Macronleaks, ossia dispacci archiviati nella casella di posta elettronica dello staff di Macron che Le Monde pare avesse prima del risultato di voto ma, per evitare di influenzare il ballottaggio, avrebbe preferito non rivelare. In questa documentazione spicca un prestito di 8 milioni in favore della AFCPEM, l’associazione del partito del presidente, La République En Marche, per finanziare appunto la campagna elettorale. Quindi Macron è nelle grazie del finanziere ungherese.

Invece Soros ha scelto Draghi.

E se questa decisione fosse stata presa a causa di un’altra indiscrezione che circola dentro i palazzi del potere? Parrebbe, infatti, che Draghi sia pronto ad abbandonare la poltrona di Premier, e proprio adesso che l’Italia si appresta ad attuare le riforme a partire dal PNRR: fisco, catasto, lavoro e concorrenza. L’uomo del Gruppo dei trenta è senza ombra di dubbio un fine giocatore di scacchi e sa bene come muovere le sue pedine. Per questo, la possibile caduta del suo Governo, prima che tutti i signori del Palazzo possano richiedere il vitalizio, appare più che un abbandono, una strategia ben studiata. Insomma, una sorta di «Ciaoneee!» Mattarella – a quanto pare – è già stato allertato e le ventilate valigie di Draghi lascerebbero dei cassetti, in questo momento, difficili da riempire.

Se l’ex della Bce stia bleffando per attuare le riforme senza intoppi attraverso una minaccia che agli italiani non fa paura, ma che terrorizza invece i principi di palazzo, lo scopriremmo solo vivendo. Tuttavia, la lettera di Soros obbliga anche altre analisi, forse anche più dietrologiche rispetto alla ipotetica finta minaccia.

È verosimile che Draghi non voglia abbandonare palazzo Chigi senza avere un salvagente: quali sono le velleità politiche del Mario nazionale? Un posto di prestigio alla UE? Alla Nato? Qualunque desiderio celi, Soros gli ha ricordato che per ora da lì non se ne può andare.

L’Italia è al centro del vortice del globalismo, un vortice che però sta mostrando le sue debolezze. Lo dimostra proprio il fatto che Soros si è espresso apertamente. Lo dimostra che anche il New York Time (che di certo non appartiene alla stampa antiglobalista), in un suo editoriale ha consigliato Zelensky di essere più realistico e di rivedere le sue posizioni in merito alle concessioni territoriali alla Russia.

Stesso ragionamento espresso da un altro personaggio chiave di tutta la politica atlantista. Henry Kissinger ha dichiarato, durante il meeting di Davos, che la Russia non può essere combattuta con sanzioni e contrasti sterili. Secondo l’uomo della Trilateral e del gruppo Bilderbeg non è opportuno cercare un’escalation contro la Russia in Ucraina. Anzi, sarebbe saggio riconoscere a Mosca le sue istanze per ciò che riguarda i territori russofoni.

Detto dal burattinaio che ha deciso il colpo di stato in Cile contro Allende (l’Agenzia di sicurezza nazionale ha diffuso trascrizioni di colloqui che raccontano la strategia messa in atto per aiutare il golpe di Pinochet:« Se c’è un modo per spodestarlo bisogna farlo»), e che ricordò a Moro quando fosse pericoloso creare un legame con il partito comunista, la presa di posizione di maggiore garantismo verso le richieste della Russia di Putin, fa pensare che la terra stia eseguendo il moto di rivoluzione dalla parte opposta.

E chissà che le cose non inizino ad andare meglio.

Michela Pisu

(Fonte: www.ansa.it; www.huffingtonpost.it; www.maurizioblondet.it; www.repubblica.it/)

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