“Stanchi di subire”. Poste, Slg Cub annuncia lo sciopero nazionale il 28 marzo

“Sono anni che Poste Italiane realizza ricavi e utili miliardari, trasformandoli in dividendi per i soci azionisti. Ma questo è avvenuto riducendo il personale all’osso (la carenza attuale è di 90mila unità), per pagare meno spese in stipendi, chiudendo le strutture lavorative (tra cui 1.900 uffici postali), sfruttando il precariato (con migliaia di ctd), risparmiando sulla fornitura di attrezzature (per il lavoro e per la sicurezza). Tutto ciò i lavoratori lo hanno pagato e lo pagano con stress continuo, malattie e infortuni.

E, oltretutto, chi sviluppa problemi di salute viene trattato nel modo peggiore, anche con trasferimenti a distanze proibitive”. 

E’ l’inizio della nota inviata dal sindacato di base Slg Cub Poste, che annuncia lo sciopero nazionale per il 28 marzo. “Sul piano economico, poi, lo stipendio di un dipendente postale medio garantisce a malapena la sopravvivenzaÈ questa la realtà effettiva di Poste Italiane, non quella che viene diffusa in modo pubblicitario, con grandi eventi scenografici, partecipati addirittura da politici nazionali di sostegno, e con le pubblicazioni sui giornali e sul tg interno “TGPoste” di storielle dorate, con lavoratori postali sereni e felici.

Gli unici a essere felici sono i soci privati che, dal 2015, detengono il 35% delle quote azionarie di Poste Italiane, incamerando dividendi sempre più corposi, mentre i lavoratori e gli utenti vengono rovinati. 

Ma questa situazione è stata possibile grazie alla collaborazione di quei sindacati che avrebbero dovuto proteggere i lavoratori, denunciando l’atteggiamento aziendale e lottando per cambiarlo, e invece li hanno gettati in pasto alla strategia speculativa dell’azienda, che così ha aumentato gli utili penalizzando il personale e il servizio pubblico.

E, infatti, la maggioranza dei rappresentanti sindacali RSU, riferibili a quei sindacati, sono stati, praticamente, latitanti o consenzienti, per anni, senza denunciare ovunque queste situazioni, lasciando che l’azienda mantenesse il suo atteggiamento, con lavoratori rovinati nella salute e nella serenità, e lasciando che circolassero liberamente notizie surreali sul “favoloso” benessere del personale, così coprendo la realtà della disperazione di molti lavoratori, che cercano di fuggire da un contesto insopportabile, anche licenziandosi, con incentivi economici, oppure licenziandosi e basta”.

Poste chiude dal 30 aprile nei piccoli centri 

“Il 30 aprile del 2026 cesserà l’obbligo per Poste Italiane di svolgere il servizio universale, e non tutti lo dicono. Questo comporterà che l’azienda non dovrà più coprire il territorio nazionale e potrà disfarsi della maggioranza del personale, mantenendo solo la presenza nei centri urbani più redditizi. Per questo motivo, l’interesse aziendale a ridurre il personale è prioritario, rispetto a quello di assumere seriamente e garantire un servizio pubblico di livello europeo. Ecco perché prosegue la chiusura degli uffici postali e l’incivile sistema di consegna della posta “a giorni alterni e rarefatti”, a cui si deve aggiungere il continuo aumento delle tariffe. In questo modo si esasperano gli utenti, con i ritardi postali e le file estenuanti agli uffici postali, per giunta pagando i servizi a caro prezzo, spingendoli così alla conversione digitale, tramite i pagamenti elettronici, le pec, gli accrediti su ccp ed altri servizi on line (tutti forniti da Poste Italiane). Anche per i pacchi, Poste Italiane ha già eseguito le sperimentazioni, nella campagna torinese, con l’utilizzo dei droni.

Di questo passo, se non verrà riconfermato l’obbligo del servizio universale, per Poste Italiane, e se non verranno riqualificati i servizi postali e gli uffici postali, con le assunzioni necessarie di personale stabile, da prelevare dalla esistente graduatoria di ex precari in attesa, invece di chiamarne altri nuovi, cioè se non si punterà ad avere un servizio pubblico universale di livello europeo, al pari degli altri Paesi, il destino di Poste Italiane sarà sempre più quello di un’azienda di servizi digitali e di altre tipologie gestite senza contatti fisici, con pochissimi dipendenti, lasciando senza presidi di servizio le comunità territoriali che siano al di fuori dei grossi centri urbani”.

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